Monday, November 28, 2005

Segnalazioni

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5 comments:

Anonymous said...

è rinata LaChiaveNellaToppa,
simbolo dell'eros Bruniano per eccellenza.

Creamo Happening di declamazioni danze e musica ispirati al Nolano.

lachiavenellatoppa9@infinito.it
alberto
3283843038

Unknown said...

Per quanti hanno patito l'infamia dell'Inquisizione credo sia giusto innalzare almeno un monumento in ogni città d'Italia. Ieri è capitato a Bruno e ad altri oggi e domani di chi è il turno. Può succedere!
Ciao

Anonymous said...

Il futuro della Chiesa Cattolica
---------------------------------

la Chiesa che fece tanto bene
cercando di lenire le altrui pene...
Molti dei figli con spietatezza ha perseguitato
togliendo loro la vita che Dio gli aveva dato.
####
ha provato tormentando Campanella e Bruno
ma da oggi non insidia piu' nessuno.
Poiche' un bel giorno verso la buon'ora,
tutto cambiera' e nulla sara' come allora.
####
La vera giustizia e la grande equita'
sono grandi cose da vivere qua.
L'ecclesia cambiera' quasi totalmente
in modo serio che nessuno ha in mente.
####
la vera ristrutturazione sara' radiosa
e cambiera' tutto, proprio ogni cosa.
Gli antichi papi saranno tutti perdonati
e proprio per questo si sentiranno " torturati ".
#####
La grande vita proseguira' veloce
e ogni fatto cambiera' nelle cose.
Domani una nuova religione
carica e ricca di ragione,
####
dara' all'uomo saggio
una carica di coraggio.
--
di Alessandro D'Angelo

Anonymous said...

Riflessioni sulla crisi contemporanea
di Alessandro Damiani
LA CIVILTÀ AL BIVIO
IL CRISTIANESIMO AL TRAMONTO?
LA ROTTA DELLA SALVEZZA
Saggio dedicato a Ernesto Balducci


LA CIVILTÀ AL BIVIO
Il periodo storico che stiamo attraversando è da ritenere una fase di
transizione: situazione tutt’altro che nuova nelle vicende umane, ma
che di volta in volta assume caratteristiche specifiche tali da
renderla diversa dalle altre forme di transitorietà. Nel nostro caso
ciò che risulta peculiare non è tanto il senso diffuso di precarietà,
quanto le reazioni che lo circondano che vanno dall’angoscia a una
sorta di folle spensieratezza in uno scenario temporale privo di
orizzonti su entrambi i versanti: il passato, volutamente obliterato,
e il futuro, privo di prospettive. Siamo immersi nella nebbia più
fitta che ci costringe all’inerzia, cui tentiamo di sottrarci con
fughe mentali nelle direzioni più contradittorie e indegne dell’alta
responsabilità dell’agire umano, inderogabile nelle situazioni
peggiori. C’è da chiedersi se meritiamo tale sorte. Quesito da
rimeditare a conclusione di questo discorso, il cui iter è fin troppo
complesso e grave. Non resta che affrontarlo.

La situazione viene vissuta in due modi distinti: come accorta
consapevolezza d’una crisi ormai spinta al limite di rottura o come
sentimento diffuso di confusione: autentica foschia intellettiva e
quindi incontrollabile disagio emotivo. Restano immuni a questo
malessere, quanti con semplicità – e sono in molti – o con ferrea
convinzione sono ancorati a certezze rocciose. Prevalgono alcune
enunciazioni che ci servono in guisa di viatico in questo percorso
intricatissimo di malanni e di problemi: globalismo, valori, crisi
epocale, fine delle ideologie. Non si tratta di parole in libertà,
bensì di concetti tanto più usati e abusati quanto meno compresi sia
da quanti li pronunciano che da chi li traduce in formule normative
per il vivere quotidiano. Su questo aspetto molto indicativo della
situazione contemporanea occorre un chiarimento preliminare. Nella
prima metà del secolo scorso la corrente di pensiero più importante
del Novecento ha affrontato con un’efficacia esaustiva la tematica del
linguaggio. Purtroppo quella lezione non è servita granchè alla
cultura successiva – con una sola eccezione – e ora i confusionari di
turno la ignorano del tutto. Questo stato di cose ha un precedente
storico con spiegazione disciplinarmente corretta. Il mito della Torre
di Babele è il sintomo inequivocabile del morbo che ha colpito la
cultura contemporanea, l’afasia, mentre dilaga l’informazione
computerizzata, e i messaggi diffusi dalla rete si trasformano in una
ragnatela di equivoci. Il codice linguistico risulta snaturato
dall’incongruenza tra l’enunciazione e la ricezione dei dati
semantici. Per esempio, il termine valori che significato ha? La
triade di valori costituita dall’enunciato «Dio patria famiglia» era
comprensibile perché condiviso fino a poco tempo fa. Oggi non più, e
un discorso su queste tematiche è come pestare l’acqua nel mortaio. Di
quale Dio e di quale famiglia è possibile dissertare? E non nominiamo
neppure la patria, sostituita dal gretto richiamo all’esclusività
etnica in netta contrapposizione all’avanzata, fausta e infausta, del
globalismo. Resta da dire che la differenza tra le due situazioni è
nella conclusione. I costruttori della Torre si separarono per gruppi
linguistici dando inizio alla molteplicità delle stirpi; invece per
l’incomunicabilità contemporanea non c’è via di fuga. Occorre quindi
rivedere le cause di questa frattura. La direzione giusta è nell’esame
del patrimonio ricevuto in eredità fruendone dei vantaggi, ma anche
accollandoci gli oneri deficitari. L’esame concerne l’analisi della
situazione sociale del secolo scorso, cumulativa di un processo
millenario. Essa non può limitarsi alla categoria economica che è solo
una componente dello sviluppo complessivo, ma deve mirare alla
specificità dell’azione umana, che è appunto la dimensione culturale,
dacché la nostra specie ha acquisito la consapevolezza del processo di
autonomia dalla natura. È questa la peculiarità del nostro percorso
evolutivo, plurimillenario e in graduale accelerazione fino alla
svolta che chiamiamo storia. Da quel punto siamo e ci riconosciamo i
soli responsabili del nostro destino. Sappiamo anche com’è proceduta
questa nostra avventura, perciò è superfluo sintetizzarla. Il riesame
può limitarsi al passato recente, il Novecento. Non scopriremo chissà
quali segreti, ma potremo pervenire a un migliore riassetto delle
nostre acquisizioni. Senza vanità e senza inutili pignolerie è questo
il mio proposito.

Il secolo scorso ha già avuto diverse denominazioni e la più
«fortunata» sembra essere quella che lo definisce breve. Breve il
Novecento? Io direi nè breve né lungo, ma lungo e breve a seconda
delle vicende che si è procacciato. Una rapida scorsa. Premesso che la
durata del tempo non è univoca, ma riflette la qualità del suo
percorso, per cui i giorni lieti volano, mentre gli attimi penosi
hanno una dilatazione incalcolabile; anche per diretta esperienza noi
abbiamo vissuto momenti felici e anni orribili. E con noi ovviamente
quanti affondano le proprie origini in quel secolo tormentato e
balordo, sanguinario e generoso, insomma – con parole più semplici –
bello e brutto. Anni di spensierata gaiezza al crepuscolo della belle
époque e ai ritmi frenetici del charleston, anni di sofferenza e
orrore durante le due guerre mondiali, anni d’incubo per una
catastrofe nucleare nella lunga contrapposizione tra i due blocchi
politico-ideologici, che però non impedí l’esplosione di conflitti
altrettanto atroci. E al tempo stesso il fiorire d’una fervida cultura
letteraria e artistica, filosofica e scientifica, scandita con qualche
lacuna dalla segnalazione del Premio Nobel. Importanti furono due
correnti di pensiero: negli anni Venti l’empirismo logico con le sue
molteplici irradiazioni del Circolo di Vienna e dell’Ateneo di
Cambridge; e nel decennio peggiore che la storia ricordi
l’Esistenzialismo, esaltato dalla scelta “gratuita” dell’impegno
sartriano, non svilito dalla miseria di Heidegger monco della fierezza
della dignità umana. Decisioni contrapposte sullo sfondo desolato del
nulla universale. Infine l’intero scenario precipita nel duplice
fallimento del secolo che chiude il millennio. Crolla nella miseria
della sua realizzazione l’utopia socialista. Esulta il regime
storicamente contrapposto con la prosopopea di chi non avverte i
segnali della sua stessa catastrofe: il liberalismo che tracima nel
liberismo, il quale scaraventa la società nella condizione preumana
della giungla.

Siamo alla crisi in atto, che coinvolge tutto e tutti. Gli errori,
reiterati nei secoli, e problemi ingigantiti dall’incapacità di
affrontarli impongono al nuovo millennio la resa dei conti, senza
accordare né attenuanti nè rinvii. Quali sono codesti nodi
dell’intricata vicenda umana che non sono stati mai sciolti? L’elenco
è lungo, con l’aggiunta di una iattura nuova, o piuttosto riemersa in
forme nuove, con una violenza imprevista. I nodi principali, anzi
cruciali, sono tre: il caos economico, la devastazione ecologica,
l’esplosione demografica. E l’aggravio, in funzione deviatrice ma con
effetti devastanti, è la nuova tattica di guerra di tutti contro tutti
a livello planetario. L’attuale classe dirigente, cresciuta e viziata
nel praticantato del secolo scorso, è assolutamente incapace di
misurarsi con una situazione di rischio senza precedenti
confrontabili. Anzi non è in grado di intenderlo: premessa, questa,
indispensabile per decidere il da farsi. Quindi che si fa? Esattamente
ciò che sta accadendo. Come l’idiota scespiriano che racconta una
favola, noi ci stiamo narrando la storia assurda del nostro tempo.
Sarà motivo di compassione o dileggio per i posteri, se non gli
ostruiremo i rischiosi e struggenti sentieri della vita. Per adesso
c’è molta confusione nella dimora degli uomini che avvantaggia
soltanto i loro difetti peggiori: impotenza e ignavia. Indugiano in
un’insolente e fastidiosa logorrea su ideuzze prive di senso. Per
esempio sulla «morte delle ideologie». Supposto che ciò sia vero, sono
ancora insepolte e ammorbano con il loro fetore il clima già malsano.
D’altronde di quali ideologie si tratta? Di quelle che hanno partorito
regimi, fascinosi nella culla, ma deformati dalla prassi, ed, essi sì,
decaduti o in via di estinzione. Uno di questi si sta trasformando
sotto i nostri occhi in un mostro sociologico: il comunismo
capitalista. Comunque, prima di proseguire con rigore su tale
argomento, facciamo chiarezza.

L’Ideologia è la creazione più complessa e importante della storia,
frutto della nascita e dell’azione dell’uomo, però intesa sotto due
aspetti distinti. Nella forma storicamente disciplinata l’Ideologia ha
una certificazione sicura. Padre è il “divino” Platone, madre la
cultura ellenica giunta a maturità, con un’ulteriore attribuzione ai
presocratici «amanti della sapienza» tra i quali i più illustri sono
Eraclito e Parmenide. Tra le due indicazioni non c’è errore, in quanto
spetta al filosofo dell’Idealismo l’architettura sistematica del
pensiero su linee maestre che risulteranno immutabili nei secoli
futuri. Ma è proprio necessario che ci si richiami a questi dati
elementari dell’umano sapere? E proseguire ricordando che di questo
strumento si è avvalso, nell’elaborazione della propria dottrina, il
Cristianesimo dalla Patristica fino ad Agostino? Alla continuità di
questo percorso religioso-culturale, rimasta invariata nei secoli
burrascosi dell’alto Medio Evo, si aggiunge con Tommaso D’Aquino il
recupero della metodica aristotelica che, succeduta e contrapposta fin
dalle sue origini al sistema platonico, accompagna il contrasto tra
idealismo ed empirismo anche quando la filosofia transita dalla sfera
religiosa all’autonomia laica della «scienza nuova»: processo di
affrancamento generale, sfociato con la modernità nell’antitesi tra
fede e scienza. Questa tipologia ideologica non si è affatto esaurita,
ma si è aperta a molteplici e rigogliosi percorsi che coprono vasti
campi di ricerca.

L’altro aspetto dell’Ideologia ha avuto e mantiene un significato più
ampio. Non solo. Gli compete la primogenitura, essendo venuto alla
luce con la nascita della coscienza nel processo evolutivo dell’homo
sapiens. Anzi, ne costituisce l’essenza stessa. L’uomo si stacca dalla
servitù selvaggia nell’atto di scoprire la consapevolezza di sé e
volge lo sguardo alla realtà circostante «con animo perturbato e
commosso»: l’Ideologia quindi come visione del mondo. Ogni individuo
provvede alla composizione di una struttura speculare che gli consente
di farsi un’idea sul contesto e sulla propria collocazione in esso.
Questo processo però è di lunga lena e avanza per tappe. Ma nella fase
albale del passaggio definitivo dallo stato belluino al livello umano
la mutazione antropologica è un evento collettivo, generato da una
sensazione comune di appartenenza all’oggettività del reale senza
alcuna distinzione da ciò che in seguito verrà definito sacro o
profano. Si tratta di una fase intellettiva ed emotiva in cui prevale
un diffuso atteggiamento di stupore: condizione ideale al sorgere
delle prime, semplici ma non elementari, domande. Si evince da ciò che
l’ideologia abbia in origine un’impostazione metafisica.

La nascita della religione nel primo ambiente tribale si esplica sotto
forma di animismo; in seguito si svilupperà in una rigogliosa
fioritura di miti e leggende, che troveranno una solida elaborazione
dottrinaria di ogni fede.

Sintetizziamo: animismo, mitologia, teologia con ciascuna di queste
fasi incastonata in un preciso contesto storico-culturale che
consente, spiega e legittima l’evento: il più elevato nella capacità
creatrice dell’uomo.

Su queste basi è incontestabile l’assunto che «non ci sono religioni
false». Questa proposizione collide con la prassi storica di ogni
singola fede, la quale rivendica a s é il possesso esclusivo della
verità. Ma Ernesto Balducci esaminando le tortuosità dei diversi
percorsi storici risale alla fonte dell’istanza religiosa in cui si
placa la sete di Assoluto. Tutto il resto è materia di indagine
storiografica e di capacità interpretativa. A mio avviso quest’ultima
è la via obbligata per cogliere la situazione di crisi e cercare di
uscire dal labirinto. D’altronde lo stato confusionale e il
velleitarismo di propositi disattesi o male avviati evidenziano la
natura e la gravità della crisi generale. Non si è più in grado di
penetrare nel corpo malato della civiltà contemporanea. Sussistono
senza dubbio i fattori determinati dal dissesto economico messi in
luce con rigore speculativo dal marxismo; ma la specificità della
crisi è di natura culturale. E questa patologia ne ostacola l’esatta
diagnostica. Malessere inguaribile perché ancora sconosciuto; peggio,
misconosciuto. Infatti le componenti letali sono state già scoperte da
uno stuolo di ricercatori di gran pregio. Paradossalmente si prosegue
nel trascurarli considerandoli ininfluenti. Invece il punto focale
della morbilità presente risiede nella problematica ideologica.
Sottovalutarla da parte di chi è in deficit disciplinare o da chi ha
sentore o addirittura contezza della sua rilevanza è già errore
cruciale a danno della nostra stirpe per il rischio di comprometterne
l’ulteriore cammino al livello e con le potenzialità fin qui
acquisite. Un comportamento collegato con le riluttanze e i timori per
una scelta di rottura che implica una decisiva discontinuità rispetto
alla pur difficile coerenza fin qui riscontrata nelle vicende umane.

Dunque qual è la soluzione del dilemma? L’affermazione – non mia, ma
da me condivisa – che «la religione è una forma sacrale di ideologia».
E poiché la tesi marxiana sull’ideologia come «falsa coscienza» non è
priva di fondamento, anche la dimensione religiosa è soggetta a un
processo di verifica. Con un’accuratezza metodologica sulla
peculiarità culturale di ogni credo che risulti in sintonia o comunque
non in stridente contrasto con un’esigenza profonda del momento
storico. Per cui – come si è detto – in origine tutte le religioni
sono vere ossia portatrici di istanze autentiche. A discernere il vero
dal falso è sempre il processo culturale che con nuove acquisizioni fa
emergere l’incompatibilità tra i fatti e le convinzioni non più
sostenibili. È il principio inopinabile di Gian Battista Vico sulla
valutazione storica dei dati in rapporto alla loro conseguenzialità
logica. Ossia: verum et factum convertundur.

Avremo modo di convalidare questo concetto nella concretezza
dell’analisi. Sul cui percorso possiamo incamminarci. Non procederemo
con un esame generalizzato. Sono quindi escluse le religioni
politeiste che nella loro vaghezza possono offrire solo riferimenti di
forte valenza metaforica. Mi esimo inoltre da ogni giudizio su due
religioni monoteiste – l’ebraica e la mussulmana – per un valido
motivo di opportunità. Infatti il dato peggiorativo della crisi
attuale è costituito dal sovrapporsi di problemi ereditati su una fase
di irrisolvibilità di una nuova forma di contrapposizione (o spacciata
come tale) che è la guerra non di religione ma di civiltà.
Dichiarazione pretestuosa, lo sappiamo, perché i rapporti tra
Occidente e mondo arabo, se hanno avuto fasi fortemente conflittuali,
hanno anche realizzato una feconda collaborazione tra l’Islam e
l’Europa nel travaso della cultura dalla fonte classica alla
modernità. Oggi il richiamo soltanto alla contesa aspra delle Crociate
è pretestuoso, dato il contesto di ambiguità politiche e di estremismo
ideologico. In questo clima osare un discorso critico comparato sulle
tre religioni monoteistiche sarebbe tacciato di malevola ingerenza nel
campo altrui. Non mi presto a questa insidia e ho stabilito il mio
impegno nell’area culturale che mi appartiene, pur dubitando che
questo discorso possa avere nell’immediato una qualche efficacia
terapeutica. Sono in voga i placebo.


IL CRISTIANESIMO AL TRAMONTO?
Esiste ancora il Cristianesimo? O, se si preferisce, ci sono ancora
cristiani? Anagraficamente sí. Ma non è di questa evidenza formale che
mi occupo, bensí della substantia rei. Ossia della qualità di una Fede
che è – ne sono fermamente convinto – l’espressione più alta della
spiritualità umana. Motivo per me di accurato e responsabile approccio
all’analisi storica. Il compito è arduo e le implicazioni prevedibili:
ragione sufficiente per impormi un rigore che è lontano anni luce
dalle banalità del trattato adespoto De Tribus Impostoribus e dalla
vacuità di quel materialismo che Marx ha definito volgare. In
solitudine serbo un rapporto affettuoso per il bambino che guazza
nell’acqua sporca. Il che non mi impedisce di perseguire la verità.
Quindi chiedo ai credenti se considerano Adamo un personaggio storico,
cioè vissuto realmente come ciascuno di noi ora e qui. La risposta sia
evangelica: sí sí, no no; poiché le conseguenze sono di una rilevanza
sfuggita o elusa dalla coscienza labile o assopita di quanti si
dichiarano cristiani. A seconda della risposta le riflessioni per chi
è incline alla meditazione saranno inequivocabili.

Quella affermativa dovrebbe provenire da una moltitudine suddivisa in
due gruppi distinti: i semplici che Gesù esalta definendoli «poveri di
spirito» e quanti ritengono la fede una convenzione tradottasi in
consuetudine. Sulla schiettezza dei primi non c’è nulla da eccepire, e
tutt’al più si può riflettere se si tratti di religio o di
superstitio. Ai secondi, che dispongono di un bagaglio culturale più o
meno consistente, è possibile anzi doveroso proporre una serie di
considerazioni sul crinale storico. Due dei quattro Vangeli sinottici
offrono un’interessante peculiarità: riportano la genealogia di Gesù
figlio «creduto» di Giuseppe. Matteo espone l’albero genealogico
iniziando dal progenitore Abramo. Luca, invece, parte da Gesù per
risalire, ben oltre Abramo, a Set, terzogenito di Adamo, e termina con
il primo uomo che è al tempo stesso il capostipite dell’intera
famiglia umana. Entrambi attingono al primo libro della Bibbia che
comprende la schiera dei Patriarchi, tutti pluricentenari. In totale
il Vangelo di Luca comprende 76 generazioni. Aggiungendo quelle
successive alla nascita di Gesù che con un calcolo ovvio sono 80, si
arriva alla somma di 156 discendenze dal primo uomo, creato da Dio.
Ben altro è il computo della disciplina che col suo rapido sviluppo
nel secolo scorso è risultata la più coinvolgente per lo studio della
nostra specie; la cui vicenda storica si riduce a un frammento
preceduto dal lunghissimo percorso evolutivo. In modi e forme più
pertinenti si tratta di circa duecentomila anni per la vicenda
dell’homo sapiens. Ma a che scopo mi attardo su dati acquisiti dalla
ricerca scientifica? Le pitture rupestri della grotta di Altamira, i
graffiti del Sahara risalgono a quest’epoca remota, indicando il
percorso della nostra specie verso l’Europa dove incontra e si scontra
con una variante dello stesso ceppo, l’uomo di Neanderthal, giunto
migliaia di anni prima e sopravvissuto a tre ere glaciali. La
questione è ovvia: come si concilia l’acquisizione di questo
patrimonio culturale, esibito dall’antropologia, con il racconto
biblico che più o meno coincide con il calcolo temporale della
storiografia?

Alla domanda riguardante la storicità o esistenza reale di Adamo, la
risposta negativa espone a un forte disagio i credenti che danno una
valenza mitica alla vicenda dell’Eden. In effetti, che il peccato
originale sia un mito è ormai una tacita convinzione che ne privilegia
il valore simbolico, rinunciando però al rigore dell’analisi sul
percorso storico della stessa fede. Si tratta di una logica sui
generis che tuttavia «tiene», com’è dimostrato dalla persistenza nel
culto di riti e usanze, di provenienza da contesti socio-culturali
superati. Ma per chi non trova appagamento nell’ossequio formale, la
questione è terribilmente grave. Espongo alcuni punti che non possono
essere sottovalutati, data la loro rilevanza in ambito teologico. È
ampiamente condiviso il giudizio sulla persona e l’opera di Gesù,
quale espressione più alta della nobiltà umana (se si escludono i
poveri di spirito, nella accezione laica). Alla radice del contrasto
interiore per ogni credente culturalmente adulto c’è una dicotomia tra
fede e ragione laica che in passato ha eluso i problemi delimitando i
campi di autonomia di entrambe. Tesi non più proponibile con la
storica suddivisione dei rispettivi ambiti: la realtà fenomenica per
l’una e la ricerca dell’assoluto per l’altra. Oggi l’unità tematica
del discorso religioso, precipuamente cristiano, risiede nel suo
inserimento storico che non consente una distinzione teorica, poiché
verum et factum convertundur. Quindi ogni problema esige l’apporto di
entrambi gli strumenti conoscitivi.

«Come per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la
condanna, cosí anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa
su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita». San Paolo nella
Epistola ai Romani espone con una chiarezza che non ha bisogno di
interpretazioni l’essenza del Cristianesimo. Il quale assume dalla
tradizione ebraica il dato fondativo della religione di Abramo
elaborandolo in funzione della nuova fede. Sicché la figura del Messia
perde ogni connotato etnico per elevarsi a redentore dell’umanità.
Contestualmente l’evento escatologico assume una concretezza storica,
riferita alla missione di Gesù uomo-dio. Su questa linea si svilupperà
la complessa dottrina cristiana per opera dei Padri della Chiesa.
Semplice l’idea, grandioso il progetto. C’è stato il peccato
originale, commesso da Adamo su istigazione di Eva, che ha provocato
tutti i mali del mondo; ma Dio, come aveva promesso, ha mandato sulla
Terra un uomo che ha lavato l’umanità da quella colpa. L’uomo è il
figlio di Dio, ed a compimento della sua missione ha fatto ritorno nel
regno dei cieli. Ciò che è essenziale nell’evento è che i due elementi
costitutivi sono ritenuti fatti storici. La Patristica si spinge fino
al punto di definire la colpa un precedente benefico - felix culpa –
poiché ci ha svelato l’amore di Dio verso gli uomini; specificando
ulteriormente che se non ci fosse stato Adamo non sarebbe stata
necessaria la venuta di Cristo, detto anche «secondo Adamo». La
validità della dottrina si è mantenuta nei secoli senza essere
intaccata né dallo scisma d’Oriente, né dall’eresia luterana. Fino al
sopraggiungere di un tempo nuovo preceduto da segnali preoccupanti:
Giordano Bruno, Kopernico, Galileo, Darwin. Il tempo nuovo – mirabile
dictu! – è il travagliatissimo Novecento, denso di luci e ombre. E la
luce proviene sia dall’orizzonte scientifico senza le facili
esaltazioni di un ingenuo positivismo, sia dagli spazi occupati dalla
molteplice testimonianza della solidarietà umana. E questa è,
consapevole o no, la verace traduzione del messaggio evangelico. Ma in
che consiste la svolta epocale? Nell’affermarsi della disciplina
antropologica che ha costretto il pontefice dei trionfi missionari a
disporre una commissione per il dibattito sull’evoluzionismo. (Che ne
è di questa iniziativa di Giovanni Paolo II?). Ora, la risposta
negativa sull’esistenza di Adamo è la conseguenza della
metabolizzazione della cultura scientifica nei ceti più istruiti del
popolo cristiano. Per codesta parte qualificata il racconto biblico
del peccato originale ha una valenza metaforica, per cui il mito è
l’espressione decorativa di un’istanza spirituale, ma rimane una fiaba
per adulti su base etica. Il discorso del cristiano colto si arresta
qui, consentendo la coesistenza di altre culture nella fusione
razionale del sapere e dell’agire umano. Chi ritiene insufficiente
tale spiegazione deduce invece che si tratta di schizofrenia
culturale; e che la pregevole elaborazione religiosa di ogni fede sia
priva di fondamento. Non c’è stato il dono del fuoco agli uomini da
parte di Prometeo, non esiste il velo di Maya a copertura dell’amara
realtà; ergo i personaggi coinvolti non sono esistiti, poiché il
concetto del divino è inscindibile dall’idea di verità. Un dio «falso
e bugiardo» è semplicemente inesistente – come aveva intuito il Poeta.
Si deve dedurre che il Cristianesimo è stato bugiardo quindi falso?
Assolutamente no.

La sua nascita e il suo percorso sono in perfetta sintonia con il
rispettivo contesto culturale, il quale non disponeva di strumenti in
grado di contestare qualsiasi ipotesi di creazione. Storicamente non
c’è ombra di capziosità in questo ragionamento, poiché inerisce
all’essenza del sapere che procede per acquisizioni valide finché non
risultino false nel corso del suo incessante sviluppo. La verità
assoluta è prerogativa Divina. Noi rimaniamo nell’ambito della
relatività con la sola aspirazione, mai soddisfatta, all’assoluto. È
la nostra condizione alleviata dal ricorso alla superstitio o alla
religio. Il Cristianesimo, vissuto autenticamente, non si sottrae a
questo itinerario, lungo due millenni con l’alternanza di periodi
fausti e nefasti. Sicché chi ne conosce la storia non ha bisogno di
dimostrazioni e conferme. Rimane incontestabile che se la colpa
originaria è soltanto un mito, mitica è pure la Redenzione. Ciò
dovrebbe bastare; e però disponiamo di altri due strumenti a conferma
definitiva di questo assunto: la razionalità per eccellenza di
Cartesio e i risultati raggiunti sulla conoscenza dell’universo mondo
da parte dell’astrofisica.

Il filosofo razionalista per eccellenza ha sciolto in una folgorazione
intuitiva l’incertezza sulla dimostrabilità dell’esistenza
individuale: il cogito. Egli ha tratto dal dubbio la verità in quanto,
se c’è il dubbio, è implicita la sua fonte ossia il dubitante.
Senonché questa «scoperta» riguarda la res cogitans. Restava da
dimostrare l’esistenza delle cose, in altri termini di tutta la realtà
oggettiva: la rex extensa. Su questo terreno si è dispiegata nei
secoli la capacità demolitrice del sofisma. Per risolvere la questione
Cartesio fece appello alla peculiarità per eccellenza del Dio creatore
del cielo e della terra. (Qui non ha importanza chiarire come egli sia
pervenuto a questa fede nella divinità ovviamente cristiana: mediante
il metodo ontologico). Essa consiste nell’assoluta identità tra Dio e
verità. Da ciò la sua deduzione: poiché egli è la causa di tutto, il
tutto esiste e non è una mia illusione o allucinazione. Né Dio può
smentire se stesso ingannandomi. Calato questo ragionamento nella
problematica della Redenzione, dover constatare la sua inconsistenza è
appunto affermare che Dio ci ha ingannato. Rimane come corollario il
richiamo alla ricerca astrofisica. Non solo il Cristianesimo, ma tutte
le religioni si basano sul principio geocentrico che supporta la
concezione antropocentrica di ogni fede. Nella tradizione
ebraico-cristiana tutto è stato creato in funzione dell’uomo, giunto
per ultimo come Signore del Pianeta e fine supremo del disegno di Dio.
Ciò che oggi afferma l’astrofisica è di pubblica acquisizione: la
Terra ai margini di una galassia che con una miriade di altri ammassi
stellari va verso il vuoto infinito. Se ciò non bastasse, quanto
appare è una minima parte della cosiddetta materia oscura. Viene
infine avanzata l’ipotesi che il nostro universo possa essere uno
degli universi innumeri. Dove si colloca, in questa visione, l’umano
destino? E noi siamo tanto importanti da meritare l’attenzione
esclusiva dell’Ente supremo, giunto alla «follia della croce» per
amore di questi esserini sperduti nel cosmo?

Dovendo portare il discorso alle estreme conseguenze chiediamoci se
non sia più rispondente a verità che l’uomo abbia creato un dio a sua
immagine e somiglianza ossia secondo la propria misura.

C’è stato un filosofo, che dopo aver frequentato con acume irrequieto
vari siti della conoscenza, ha concluso il suo iter formulando la
teoria dell’ipotesi di cui solo quelle attinenti all’esperienza
empirica sono verificabili. Scoperta dell’acqua calda, come le tesi di
Wittgenstein sul linguaggio? Non è da poco, in un mondo che «ha gli
occhi per non vedere». Ugo Spirito ha avanzato tre ipotesi sul futuro
della nostra civiltà; essa potrebbe incorrere in una mutazione
epocale: I/ Se venisse a contatto con una cultura extraterrestre; II/
Se dovesse emergere una scoperta tale da travolgere la struttura
scientifica tracciata nei secoli; III/ Se dal grembo della nostra
civiltà emergesse alla luce un’Idea totalmente innovativa nei modi di
essere e di agire degli uomini.

La prima ipotesi riguarda il futuribile, mentre un impatto a breve
termine provocherebbe la rottura della conseguenzialità storica,
poiché sarebbero gli alieni a farci visita, nunzi di una civiltà di
gran lunga superiore alla nostra.

Della seconda ipotesi nulla possiamo dire né presagire, limitandoci
alla constatazione che sulla via delle scoperte sconvolgenti ci si è
già inoltrati e gli effetti sono in opera con una gradualità che
provoca mutamenti e svela pure l’inesauribile capacità di adattamento
dell’homo sapiens.

La terza ipotesi ha due soli riscontri: il primo, preistorico, anzi
nel passaggio dalla preistoria alla protostoria; il secondo, innescato
nel cuore della storia. Rispettivamente: la transizione degli uomini
da cacciatori ad allevatori e da raccoglitori di cibo ad agricoltori.
Ne consegue il passaggio dal nomadismo alla stanzialità
coll’organizzazione della vita sociale in forme sempre più complesse:
dalla tribù alla città e allo Stato. Il secondo riscontro,
preannunciato dall’età assiale, è l’irrompere di Gesù nella storia. Un
evento non comprensibile nella sua pienezza senza penetrare nel
contesto socio-culturale estraneo al principio dell’amore universale.
Sussiste qualche possibilità di realizzazione per questa terza
ipotesi, ed è auspicabile? Dipende dalla qualità. Ne abbiamo avuto un
orribile tentativo nella terra dell’Idealismo assoluto: il nazismo,
male assoluto. Sarebbe preferibile il relativismo di questo nostro
mondo rabberciato, se la sfida odierna che riguarda al tempo stesso il
destino collettivo e del singolo non fosse giunta – come lo è,
effettivamente – al limite estremo. L’umanità oggi è di fronte al
dilemma: o trovare la via d’uscita da questa crisi cruciale o perire.
Quindi l’ipotesi del sorgere di un’idea salvatrice, in quanto
totalmente e positivamente nuova, esibisce la propria feconda
validità.


LA ROTTA DELLA SALVEZZA
«Il Cristianesimo come lo abbiamo conosciuto nel suo percorso
culturale e storico è mortale». Questa affermazione, lucida e
coraggiosa come raramente si riscontra nel lungo travaglio del
pensiero finalizzato all’azione, è passata senza lasciare traccia in
un mondo che pur vanta la più vasta ed efficace rete di comunicazione.
Analoga sorte ha avuto la dichiarazione dell’antropologo britannico
che in procinto di recarsi nell’Africa australe così ha risposto alla
domanda di un giornalista: «Vado alla ricerca dei progenitori di
Adamo». Due esempi illuminanti sul grado di consapevolezza diffusa per
quanto attiene alla crisi contemporanea, crisi di civiltà, della quale
l’Occidente è magna pars. Nel secondo caso, la proposizione ha avuto
l’accoglienza di una battuta ironica. In effetti, l’humor anglosassone
ne ha attutito la valenza cruciale. Sul monito del sacerdote cattolico
di Fiesole, il quale nelle sue ultime opere ha spesso e
responsabilmente insistito sulla più che probabile «fine» del
Cristianesimo nel contesto del superamento di ogni religione positiva,
c’è stato e permane un silenzio totale. È mia convinzione che si è
voluto oscurare l’opera di un personaggio che su questo tema di
altissimo e perenne valore è la voce più autorevole. Entrambe le
culture – la laica e la religiosa – hanno eluso la sua sfida: la
prima, perché a livello medio è semplicemente superficiale, mentre ai
più alti livelli considera questa tematica obsoleta e pertanto
immeritevole di una ripresa del discorso, concluso addirittura da
Immanuel Kant. Ben diversa la scelta del silenzio da parte della
cultura religiosa, preoccupata nelle sue istanze istituzionali più
elevate, per le implicazioni di un dibattito che colpisce il nucleo
centrale della sua fede. Cosí facendo entrambi i settori hanno gettato
con l’acqua torbida il prezioso fanciullo che incredibilmente è
rimasto pulito: come avremo modo di chiarire.

La questione elusa si impone per la responsabilità e l’angoscia di un
passaggio obbligato della storia: senza mezzi termini, non il trapasso
da un evo all’altro, bensí la fine di un’era. Il dilemma dell’ora
presente è questo: o andare oltre o restare come gli ignavi danteschi
in attesa dell’inevitabile. Né s’illuda la parte numericamente
maggioritaria del Pianeta che si tratti di un problema interno alla
civiltà occidentale, poiché siamo già tutti coinvolti. Il
Cristianesimo è morente o addirittura defunto nell’anima? No.
Prescindendo dalla mummificazione di riti e costumi, esso è più vivo
oggi che non nei pochi secoli sonnacchiosi della sua storia: in grado
di offrire all’umanità accasciata sotto il peso dei propri errori,
un’energia dirompente, sorgiva dalla fonte evangelica; nonché, dopo
l’ammissione penitenziale delle proprie corresponsabilità, l’avvio a
una rinnovata religio. So benissimo, è un termine forte, esplicitato
da Ernesto Balducci: «La Chiesa deve fare come il Cristo, morire per
risuscitare». Tuttavia non mi spingo fino a tanto, per la semplice
ragione che non posseggo la sua fede, testimoniata con l’estrema
dedizione della propria vita. Rimane la sfida, che la Chiesa non può
esimersi dal cogliere nel solco delle sue migliori tradizioni. E qui
il riferimento è soprattutto al Cattolicesimo, di gran lunga più
forgiato per struttura, per esperienza storica e per elaborazione
dottrinaria. Esso è stato l’assemblatore del nuovo ordine in Europa
dopo il crollo dell’Impero romano, e se nel corso del secondo
Millennio ha provocato la frattura luterana, in chiusura di un ciclo
di errori in parte attutiti dal grande influsso al rilancio di valori
cristianamente laici, è auspicabile un suo contributo alla soluzione
della crisi dilagante. Bando però al peggiore degli equivoci. Non si
tratta di una richiesta di stampo religioso. La posta in gioco, comune
a tutti, esige una risposta adeguata al di sopra dello schematismo
conflittuale fra i termini angusti di laicismo e confessionalismo. Il
richiamo alla sorgente evangelica dilata la questione, di fatidica
attualità, alla sua autentica dimensione, che è universale. Perciò
chiariamoci le idee.

Il Cristianesimo interviene nel processo evolutivo dell’umanità a
distanza di qualche secolo dall’età assiale, che aveva posto il
problema esistenziale in termini incomparabilmente innovativi rispetto
alla vaghezza delle figurazioni mitiche anteriori, e tali da imporsi a
una riflessione sempre più approfondita nei secoli posteriori.
Oggettivamente il Cristianesimo conclude quella fase di profonda
meditazione con l’aggiunta di un valore non contemplato o
inadeguatamente considerato dal pensiero astratto dei maestri
dell’epoca. Sicché a giusto motivo la storia è distinta in prima e
dopo Cristo. La novità dell’evento consiste nella connessione tra
l’Assoluto e la relatività umana, caratterizzata dall’operare,
positivo o negativo che sia, ma non rinunciatario né elusivo; come
invece avveniva nella reiterazione delle esistenze dell’Induismo e nel
nichilismo buddista. Detto con maggiore chiarezza, la nuova religione
affermava la valenza univoca e non ripetibile di ogni esistenza umana
con il conseguente rapporto di reciproca responsabilità tra il
relativo e l’Assoluto. – Su questo punto fondamentale è assiologica
l’unica «preghiera» proposta da Gesù: il Pater Noster in cui Dio è
padre di tutti, ma al tempo stesso colui al quale si chiede di «non
indurci in tentazioni». E se qualcuno recentemente ha suggerito di
mutare questa implorazione, ha dimostrato una totale incomprensione
del verbum cristiano.

Rimanendo nel nostro ambito drammaticamente relativo, il Cristianesimo
afferma l’unicità e responsabilità dell’individuo, come valore in sé e
fondamento dell’aggregazione umana. E qual è l’aspetto grave della
crisi contemporanea se non la perdita del senso di responsabilità
singola e la disgregazione dell’umanità? In quest’ottica, né potrebbe
esserci un’altra, il Cristianesimo è il secondo balzo evolutivo
dell’uomo, che a differenza del primo, svoltosi nel Neolitico, avviene
nella pienezza della storia, ossia alla confluenza della cultura greca
e dell’organizzazione civile di Roma. Il Cristianesimo, derivato e
sottrattosi all’ineguatezza intellettiva e politica del piccolo mondo
ebraico, trova le risorse nella propria originalità per affermarsi
nell’«universo» conosciuto, prima indicando e poi perseguendo la rotta
verso il futuro. Ma qual è il valore che esso porta, mettendolo a
disposizione dell’umanità?

È stato già detto che non è la fede che ognuno possiede in varie
forme, non è la speranza che sorregge ogni esistenza, ma è la Caritas
che fa del seguace di Gesù il nunzio e il costruttore dell’età nuova.
Dono inestimabile del Cristianesimo è l’etica evangelica. I Vangeli
sono un’antologia e apologia della moralità. Ma la pagina più
significativa è quella che riporta i due precetti di Gesù con la
parabola chiarificatrice del buon samaritano. Qui non c’ è accenno
alla ricompensa per l’opera di bene compiuta, riscontrabile in altri
episodi dei testi sinottici. Etica pura che ha in sé stessa
motivazione e finalità; per cui non ho la minima esitazione a definire
questa pagina la più alta nella scrittura umana. È l’affermazione del
sublime che non richiede la ricerca di superlativi essendo appunto il
termine sublime superlativo esso stesso. Non stupisca però se questa
etica sia analoga alla condotta irreprensibile dell’uomo senza fede.
La scelta dell’ateo è gratuita, ne esalta la libertà e dà un senso a
ciò che per lui non ha senso: la vita intesa come contingenza.
Entrambe le situazioni, attinenti all’agire umano – «ama il prossimo
tuo come te stesso» - proiettate in un progetto collettivo
costituiscono l’impegno nella storia, che a sua volta si svolge di
progetto in progetto. Quello cristiano, insegnato e operato da Gesù
fino al sacrificio della propria vita, ebbe il maggiore espositore
nell’Apostolo delle genti. Nella Epistola ai Galati, egli afferma:
«Non c’ è più giudeo né greco; non c’ è più schiavo né libero; non c’
è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». Per
comprendere nella giusta misura questo passo è necessario
contestualizzarlo.

Lo spirito dell’epoca era privo del concetto di amore universale.
Ribadire ciò è la premessa all’esatta valutazione del messaggio
cristiano. Ciascun popolo per motivi specifici era alieno rispetto
agli altri: il greco per la consapevolezza della propria superiorità
culturale, il romano per la posizione egemone nella sfera politica e
il giudeo addirittura perché si riteneva l’eletto da Dio. San Paolo
annulla queste disparità nell’identificazione degli uomini nella
persona e nella fede in Gesù. Di pari valenza è il rifiuto della
suddivisione degli individui in liberi e schiavi. È bene ricordare che
la schiavitù costituiva non soltanto la forza lavoro, ma la struttura
stessa del sistema economico. Non è casuale che Aristotele giunge a
giustificarla. Roma, determinata nel realizzare il proprio progetto
egemone, fu di una ferocia inaudita in due soli momenti della sua
storia che costituirono per essa il massimo pericolo: le Guerre
Puniche e le Guerre Servili. In entrambi i casi agí di conseguenza: la
distruzione di Cartagine e la morte di Annibale; la totale repressione
dei ribelli, per cui coloro i quali erano sfuggiti alla morte in
battaglia furono a migliaia crocifissi. Infine, il discorso sulla
parità della donna con l’uomo ha nel Cristianesimo un’affermazione
senza uguali nella storia. Che all’epoca la donna fosse mancipia
dell’uomo è ben noto. Ma la nuova religione, come alcuni secoli dopo
esprimerà magnificamente il Poeta, eleva la figura femminile a un
grado incomparabile: «Tu sei colei che l’umana natura / nobilitasti sí
che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura».

Messaggio quindi «rivoluzionario» per eccellenza, anzi l’unico con
esito positivo. Ma prima che ciò accadesse la reazione del potere fu
implacabile. E fu questa la vera motivazione delle numerose
persecuzioni contro i cristiani, che – va ben ricordato – esplosero
non tanto nell’immediato, ma nei due secoli successivi e su iniziativa
degli imperatori cosiddetti provinciali.

Intanto questa inusitata esaltazione della fratellanza umana ebbe un
impatto tale da rendere quasi ovvia la convinzione che il suo
promotore dovesse avere un’origine divina. Non un uomo, per quanto
virtuoso (e chiaramente ve n’erano nel vasto impero romano che
coincideva col più alto grado di civiltà allora noto), ma solo un dio
poteva annunciare e promuovere un livello più alto di eticità. È il
Dio fattosi uomo per amore degli uomini.

Altro è il discorso che riguarda l’attuazione del messaggio evangelico
nei secoli successivi da parte di una religione istituzionalizzata; e
poiché la ricognizione sull’argomento è disponibile a tutti, non c’è
bisogno neppure di sintetizzarne il percorso. Sarebbe un inutile
rivangare la nostra storia a tutto svantaggio di quello che preme. Ciò
che oggi si ripropone e impone è la difficile costruzione di un argine
alla fase ultimativa della degenerazione etico-sociale nel percorso
storico della civiltà. A chi affidare questo compito? All’economia che
si è rivelata il dominio del caos? O alla politica, che con rare
eccezioni, è diventata un palcoscenico di vanità, insipienza e
banalità oscene? O alle confessioni religiose che considerando la vita
un dono di Dio rifiutano senza mezzi termini l’ipotesi di un
intervento razionale onde evitare che l’umanità si riduca come i topi
di fogna i quali, aumentati in maniera esponenziale, si divorano tra
di loro? Non resta quindi che il ricorso ai valori autentici di ogni
fede ultramondana che funga da base per un intervento ampio e decisivo
sui gravi problemi dell’età contemporanea.

È quanto si è imposto padre Balducci, chiarendo sempre meglio la
propria ricerca in una serie di scritti, tra cui emergono Il terzo
millennio e La terra del tramonto. Ma poiché l’innovazione propositiva
è inscindibile dall’analisi teorica, che implica una profonda
revisione dottrinaria, si è preferito obliterare l’intera operazione
del sacerdote toscano. Egli infatti propugna una rifondazione del
Cristianesimo su basi che corrispondano all’odierna temperie
culturale. Ma come si può pretendere che la Chiesa sia disponibile a
un riesame dei suoi principi fondanti – in termini estremamente
semplici la Trinità cristiana credibile come la Trimurti induista o lo
Zeus dei pagani - sanciti nei concilii di Nicea e di Calcedonia? In
effetti si tratta di una questione insolubile, mentre resta valida e
non rinviabile l’istanza di una rigenerazione etica che conferma la
validità delle sue origini evangeliche. Con maggiore chiarezza si
tratta del nucleo della tematica religiosa, relativa alla dottrina
cristiana, la quale a sua volta poggia su una base sussunta dalla
tradizione biblica. Toccare soltanto questo punto focale
dell’ideologia significa precipitarla nel buco nero dell’assurdo,
senza alcuna possibilità di farla riemergere alla luce; dove invece è
rimasta, perché primigenia rispetto alla costruzione teorica, l’etica
del secondo precetto di Gesù, non accostabile alla morale del percorso
storico cristiano né affine alla condotta eudemonistica dello scambio
tra la bontà dell’agire e la ricompensa celestiale. Etica «che smuove
le montagne»: ossia la Caritas Christi (quae) urget nos.

Non è altro «l’etica planetaria» invocata da Balducci, che, forte
della sua ratio fidei, in modo esplicito ha ribadito il proprio credo
nel Cristo risorto, elevato a pleroma di una società in fieri. Compito
difficile? Posso ben dire immane e quasi impossibile; ma l’alternativa
a questa che è l’unica rotta di salvezza, è un crescente degrado che
se non giunge all’autodistruzione della specie senza dubbio ridurrà i
superstiti allo stato di regressione barbarica. Occorre l’impegno non
dell’astratto homo sapiens, ma della miriade di esseri umani fin qui
dimostratisi concordi nel perseguire un’interminabile discordia. E
questa è davvero impresa di lunga lena, mentre la gravità dei problemi
e l’urgenza storica che ne deriva concedono un tempo molto limitato.
Il natante malridotto, che ha imbarcato una folla di incoscienti alla
mercè di una ciurma ubriaca e di un capitano folle, dispone di una
guida luminosa proveniente – come affermano Bloch e Balducci - da un
faro ai cui piedi non c’è luce.

Ho iniziato queste riflessioni coll’immagine della nebbia che ci
paralizza, e le chiudo con il riferimento al faro che lancia un fascio
di luce. Da dove proviene la sua energia? Forse dalla regione
frequentata da Pascal? Se cosí fosse, all’origine si prefigurerebbe
una più profonda razionalità. E forse la nave dei folli è seguita da
uno sguardo vigile, ma di questo nulla sappiamo. Per precauzione
dobbiamo farci carico del nostro destino come unica possibilità di
dare un senso, nel grande mistero dell’esistenza, alla vicenda umana.
È la misura della nostra dignità.

Anonymous said...

DE RADIORUM FURORE

''quando l' anima guidata dalla natura melanconica
Tutta ad un tratto le redini del corpo e i legami degli arti scuote perquote e scompiglia
e tutta intera trapassa nell' immaginazione
diventa cosi' improvvisamente una dimora di demoni di basso rango
che spesso le donano una meravigliosa ed eccellente capacita'
in tutte le arti...
...quando infine l' anima per intera
si eleva alla ragione pura
diventa domicilio di piu' alti spiriti
e conosce da loro i segreti e i misteri della divinita'...''
...cosi' heinrich cornelius agrippa von nettesheim
nel suo ' de occulta philosophia'...
... ... ...
...la mia opinione...
...quando il cuore tuo e' vuoto
e l' anima tua desolata e devastata
non aspettare che si levi il vento
e al tuo orecchio con veemenza sussurri
la sua rabbia e la sua tristezza...
… … …
...lascia liberi i tuoi pensieri...
dagli le ali...
senza rimorsi donagli l' essere...
senza tracciare un cerchio magico un pentagramma o un esagramma…
solo con l' immaginazione...
... ... ...
dalle immensurabili profondita' della fantasia
lascia risalire ed emergere il piu' buio dei tuoi sogni…
lascia gl' irridescenti e liberi demoni dall' abisso dell' anima
ammantati di diafana luce pervenire e
presentarsi al cospetto della ragione...
...essi attendono solo e soltanto di sorgere e di risorgere..
... ... ...
come l' amante
il sorriso della sua amata desidera attende e brama
e con tacita gioia
il sempiterno fuoco benedice
che il proprio spirito
con una dolce carezza
brucia...
... ... ...
l' uomo non e' come un povero e miserabile asino
che porta sulla sua groppa i sacramenti...come pensa agrippa...
l' uomo con la sua dignita' puo' ed e' in grado...
egli deve scalare ed assaltare le eccelse vette del cielo
per togliere e rubare agli dei immortali
il raggiante e sacro fuoco del delirio e del bello...
un attimo che e' uguale ad una eternita'...
una scintilla perpetua ardente e carica di sogni...
... ... ...
proprio come il fulmine
che dal suo sorgere fino al suo tramonto
la sua propria essenza abbagliando brucia ed irradia
e con violento fragore potente la sua vita trasforma
in luce energia e calore...
... ... ...
cantami
o lirico angelo
chitarrista e profeta
dell' intima ragione e dei mali oscuri
che affliggono e tormentano il cuore tuo...
... ... ...
presto...molto presto
dal profondo dell' anima che non ha fondo
saliranno piano con dolcezza e senza pace
la tristezza e la malinconia...
presto dalle fiammanti e rosse cavita' del cuore
che piu' rosse essere non possano
sorgeranno meravigliose ed arcane stelle
e il bagliore dei loro raggi
trovera' asilo e riparo nei suoi occhi...
e nei suoi capelli…
... ... ...
presto...molto presto
dal regno incantato dei cremisi e purpurei sogni
egli s' involera' verso l' infinito
che solo amore e luce
per suo confine ha...
... ... ...
Kunst.ag:amon